La televisione era spenta, la stanza immersa in una quiete morbida. Michele e Stefania erano sdraiati a letto, le lenzuola arrotolate attorno ai loro corpi ancora caldi. Lei con la testa appoggiata al suo petto, lui che le passava lentamente le dita tra i capelli, come a voler prolungare quel momento sospeso.
«Sai,» mormorò Michele, con un tono che non sapeva se fosse curiosità o gelosia, «una volta mi avevi accennato che… con un tuo compagno di corso… ti sei inginocchiata per lui.»
Stefania sollevò appena il viso, gli occhi socchiusi, un sorriso che sembrava imbarazzo e malizia insieme. «Mh… te lo ricordi, eh?»
«Eccome se me lo ricordo,» ribatté lui, fissandola. «Non me l’hai mai raccontato davvero. Me lo devi.»
Lei abbassò lo sguardo, passandosi la lingua sulle labbra. «Era una stupidaggine, Michele. Eravamo ragazzi, avevo ventidue anni… una cosa veloce, goffa.»
«Lo voglio sapere lo stesso.» La voce di Michele era ferma.
Stefania sospirò, ma la sua mano si mosse lenta sul ventre di lui, tracciando un cerchio con le unghie. «Va bene… ma mentre te lo racconto, tieni la mano qui.» Gli prese la mano e se la portò tra le cosce, sopra lo slip sottile. «Così senti come mi fa effetto confessartelo.»
«Era il 2002,» iniziò Stefania, abbassando lo sguardo come se il ricordo le si accendesse dentro. «Io e Davide ci conoscevamo da qualche mese, seguivamo lo stesso corso. Non era come gli altri ragazzi: sempre un po’ in disparte, timido, gentile… uno che arrossiva per niente.»
Sospirò, muovendo le dita di Michele più in basso sul suo sesso coperto dallo slip. «Quel giorno avevamo finito le lezioni e ci siamo fermati a chiacchierare dietro la facoltà, dove c’era un cortile nascosto. Non era proprio isolato, ma abbastanza appartato da sentirci soli. Il sole scendeva, la luce era dorata, calda.»
Un sorriso le piegò le labbra. «Io avevo una gonna leggera, estiva, e una camicetta bianca. Lui indossava una felpa scura e i jeans. All’inizio parlavamo del più e del meno, poi ci siamo seduti su un gradino. Ricordo che lui non riusciva a staccarmi gli occhi di dosso, e io facevo finta di niente.»
Michele la fissava, la mascella tesa. Stefania continuò: «A un certo punto mi ha sfiorata con la mano, timido. Io non mi sono spostata. Ci siamo guardati e… ci siamo baciati. Un bacio impacciato, un po’ goffo, ma tenero. Mi è venuto da ridere, e allora lui si è imbarazzato ancora di più. Ma io non volevo smettere.»
Chiuse un attimo gli occhi, come a rivivere la scena. «Così ho preso io l’iniziativa. Gli ho passato una mano dietro il collo e l’ho baciato di nuovo, più forte. Lui tremava, Michele. Lo sentivo contro la mia bocca. E intanto, sotto i jeans, era già duro.»
«Lo sentivo fremere,» continuò Stefania, mentre guidava la mano di Michele a premere più a fondo sul suo sesso. «Ogni volta che le nostre labbra si toccavano, tremava di più. Mi piaceva. Mi faceva sentire grande, esperta, anche se in realtà ero solo un po’ più coraggiosa di lui.»
Si bagnò le labbra, con un mezzo sorriso. «Il bacio è diventato più intenso. La sua lingua timida, la mia che la cercava con decisione. Poi ho sentito il suo corpo irrigidirsi, i fianchi che si muovevano appena. Era evidente che sotto i jeans non riusciva più a controllarsi. L’ho sfiorato con la mano, per gioco. Ho sentito il rigonfio, duro, che premeva contro il tessuto.»
Stefania si fermò un istante, stringendo le cosce intorno alla mano di Michele. «Non so cosa mi abbia spinta, forse l’idea di sorprenderlo. Forse il gusto di provare io, per la prima volta, a fare qualcosa che fino a quel momento avevo solo immaginato. Così, senza dire una parola, mi sono inginocchiata davanti a lui.»
Michele trattenne il respiro. Stefania continuò, la voce più roca: «Lui era rimasto immobile, come paralizzato. Io gli ho sbottonato i jeans con calma, guardandomi intorno. Non volevo che qualcuno sbucasse all’improvviso dal vialetto. Ma eravamo soli. Ho abbassato la zip e ho infilato le dita sotto l’elastico. Lì l’ho sentito davvero: caldo, vivo, teso. Il cazzo di Davide era giovane, duro al punto da farmi quasi sorridere. Era come se non stesse aspettando altro che la mia bocca.»
«Gli ho tirato giù i jeans quel tanto che bastava,» riprese Stefania, la voce bassa, «e subito il suo cazzo è saltato fuori, rigido, quasi teso di vergogna e di eccitazione insieme. Non era enorme, ma duro come la pietra, con la cappella lucida di desiderio. Per un attimo l’ho guardato e basta, come per fissarmelo in mente. Lui ansimava, incapace di dire una parola.»
Si leccò le labbra al ricordo. «Ho piegato la testa e l’ho preso in bocca. Lentamente, solo la punta all’inizio, per abituarmi al gusto: caldo, salato, la pelle tesa che mi riempiva la lingua. Davide ha lasciato andare un gemito, forte, come se non avesse mai provato niente del genere. Allora ho osato di più.»
Stefania guidò la mano di Michele più in basso, contro l’umidità del suo sesso. «L’ho succhiato, muovendo la bocca avanti e indietro, e intanto lo stringevo con la mano alla base. Ogni volta che scivolavo più giù, lui sobbalzava. Mi bastava sentirlo tremare per capire che stava già per cedere. Era la prima volta che facevo un pompino lì, in pubblico, e sentivo l’adrenalina nelle tempie: ogni rumore di passi lontani mi sembrava un rischio, ma non riuscivo a fermarmi.»
Un sorriso crudele le piegò le labbra. «Non è durato molto, Michele. Non poteva. Con ogni colpo di lingua, con ogni succhiata, lo sentivo avvicinarsi al limite. Io gemevo sottovoce intorno al suo cazzo, bagnandolo di saliva, e dentro pensavo: Vuoi vedere che mi viene in bocca qui, dietro la facoltà?»
«È successo tutto in fretta,» continuò Stefania, la voce più roca, quasi un sussurro che vibrava nell’aria. «Stavo succhiando il suo cazzo con più ritmo, la mano stretta alla base, la lingua che gli accarezzava la cappella. Sentivo i suoi fianchi che cominciavano a muoversi da soli, come se non riuscisse più a controllarsi.»
Si morse il labbro, stringendo la mano di Michele fra le cosce bagnate. «All’improvviso ha spinto appena di più, ha piegato la testa all’indietro e ha gemuto forte. Io l’ho sentito pulsare in bocca, e subito dopo è arrivata la sborra. Calda, densa, a scatti. Me ne è entrata una parte in gola, un’altra mi ha sporcato le labbra.»
Un respiro lento le gonfiò il petto. «Non ho fatto in tempo a pensare. Ho deglutito d’istinto, la bocca piena, e mi sono passata la lingua sulle labbra per non gocciolare. Lui ansimava, con gli occhi chiusi, quasi spaventato dalla forza con cui era venuto. Io lo guardavo dal basso, ancora inginocchiata, con il sapore salato che mi restava sulla lingua.»
Stefania sorrise appena, con un’ombra di ironia. «Sai cosa mi ricordo meglio, Michele? Il suo viso: incredulo, imbarazzato, arrossito fino alle orecchie. Sembrava non capacitarsi che gli avessi davvero succhiato il cazzo lì, dietro la facoltà, e che lo avessi fatto venire così.»
Chiuse gli occhi un istante, rivivendo il brivido. «Io ero eccitata e confusa allo stesso tempo. Avevo la bocca ancora bagnata, le ginocchia sporche di polvere del cortile, e una parte di me si chiedeva se qualcuno ci avesse sentiti. Ma l’altra parte… godeva. Godeva del potere di averlo fatto venire così in fretta, in un posto dove non avremmo mai dovuto farlo.»
«E poi basta,» concluse Stefania con un mezzo sorriso. «Non ci siamo spinti oltre. Lui era ancora con i jeans abbassati, il respiro corto, e io con la bocca bagnata. Non ci siamo nemmeno salutati bene, ognuno è tornato a casa per conto suo. Non è diventata una storia, non c’è stato altro. Solo quel pompino dietro la facoltà. Una cosa breve, ma così forte da restarmi impressa per sempre.»
Michele rimase immobile accanto a lei, lo sguardo perso nel vuoto. Stefania colse l’ombra di gelosia nei suoi occhi, quella che amava alimentare. Gli accarezzò il petto, scendendo verso il ventre, e lo sentì duro sotto le lenzuola.
«Lo immagini, vero?» sussurrò con crudeltà dolce. «Io ventiduenne, inginocchiata sul cemento, con un cazzo in bocca e il sapore che mi restava sulla lingua. E tu non c’eri. Non eri tu.»
Michele emise un gemito basso, quasi un ringhio. Si mosse per prenderla, ma Stefania lo fermò con la mano. «No, amore. Non stasera. Tu rimani duro, proprio come sei. Perché adesso voglio che tu senta la stessa frustrazione che sentivo io quel giorno: eccitata, sporca, ma senza poter avere di più.»
Si voltò sul fianco, gli baciò la spalla, e si rannicchiò accanto a lui come se niente fosse. Michele restò sveglio, il cazzo duro, il cuore in tumulto, con l’immagine della sua donna ventiduenne inginocchiata per un altro che gli bruciava nella mente.




