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Parcheggio Multipiano

Era sera, il salotto immerso nella penombra. La televisione spenta, solo il fruscio leggero della pioggia contro i vetri. Michele stava ancora con la camicia slacciata e i pantaloni addosso, seduto sul divano con un libro che non stava leggendo davvero.

Quando Stefania entrò nella stanza, lui la vide subito diversa. Aveva i capelli sciolti sulle spalle, una gonna semplice ma corta, una blusa leggera che lasciava intravedere il seno senza reggiseno. Sapeva cosa significava: quando lei si presentava così, non era mai per caso.

Si avvicinò, i fianchi che disegnavano una curva morbida sotto la stoffa. Gli prese il libro di mano senza dire una parola e lo appoggiò sul tavolino. Poi si piegò verso di lui, il profumo della pelle umida di doccia che gli arrivò dritto in gola, e gli sussurrò all’orecchio:

«Hai voglia di giocare con me, amore?»

Michele deglutì. Aveva imparato che a quella domanda non c’era scampo. La parte razionale di lui gli diceva di dire no, che ogni volta quelle storie lo straziavano. Ma il corpo reagiva sempre prima della testa.

«Che cosa vuoi raccontarmi stavolta?» provò a mormorare, con la voce più roca che ferma.

Stefania sorrise, maliziosa, e gli prese la mano guidandola sulla sua coscia. La pelle calda sotto la gonna, il contatto del nylon sottile delle calze. Lui sentì il cuore accelerare.

«Una cosa che non ti ho mai detto. Una di quelle porcate da Tinder che ti fanno venire duro anche se non vuoi.»

Michele serrò la mascella. «Non tenermi sulle spine, Stefania. Sai che voglio i dettagli. Tutti.»

Lei rise sottovoce, un suono sporco e dolce insieme. Si sedette accanto a lui, si girò leggermente e senza esitazione gli aprì la patta dei pantaloni. Il cazzo di Michele era già mezzo duro, pulsante contro il tessuto. Lei infilò la mano dentro, lo tirò fuori e cominciò a muoverlo lentamente, con gesti esperti e tranquilli.

«Ti racconto di una sera, con un ragazzino di ventiquattro anni. Si chiamava Luca. Mi scrisse che non voleva un appuntamento, non voleva un drink, non voleva parlare. Voleva solo che glielo succhiassi. Tutto qui.»

Michele sussultò. L’erezione gli si indurì subito di più nella mano di Stefania. «E tu sei andata?»

«Certo che sono andata.» Gli strinse il cazzo più forte, rallentando il movimento. «Ero curiosa. Volevo vedere fin dove potevo spingermi. E volevo sentirmi ancora desiderata. Sai dove mi portò? In un parcheggio multipiano, di notte. Niente luci soffuse, niente atmosfera. Solo neon freddi e macchine vuote.»

Gli occhi di Michele si chiusero per un istante, come se la scena gli fosse apparsa davanti con violenza. La gelosia lo punse allo stomaco, ma il cazzo pulsava duro sotto le carezze di Stefania.

«Continua,» disse a denti stretti.

Lei lo baciò sul collo, con un sospiro. «Ti racconto tutto, amore. Ma tu prometti di non fermarmi. Nemmeno quando sarà troppo.»

La sua mano accelerò appena, il suono umido che riempì la stanza. Michele non riuscì a rispondere. Aveva già perso.


«Era una sera fredda,» cominciò Stefania, la voce bassa mentre la sua mano stringeva il cazzo di Michele e lo accarezzava. «Avevo messo una minigonna di jeans e una maglietta nera semplice, un giubbotto leggero. Non mi ero nemmeno truccata tanto, solo un po’ di rossetto. Non era un appuntamento, capisci? Non c’era da fare colpo. Lui mi aveva scritto chiaro: “Io voglio solo che me lo succhi”. Così, senza giri di parole.»

Michele trattenne un gemito, serrando i denti. «E tu ci sei andata lo stesso…»

«Sì.» Stefania sorrise, amara. «Mi intrigava. Ventiquattro anni, studente e lavoretti per campare. Quando arrivai al parcheggio multipiano mi aspettava già. Felpa, jogger, un cappellino da baseball. Sembrava un ragazzino appena uscito dall’università.»

La sua mano scese lenta fino alla base del cazzo di Michele, stringendo forte, poi risalì verso la cappella già lucida. «Mi aprì subito la portiera, senza nemmeno salutarmi davvero. Entrai in macchina e lui tremava. Non di paura, ma di eccitazione. Lo vedevo negli occhi, come brillavano nel buio di quei neon sporchi.»

Michele si morse il labbro. «E cosa ti disse?»

«Quasi niente.» Stefania ridacchiò. «Si limitò a guardarmi le gambe, a mordersi le labbra. Poi tirò un respiro e disse: “Ti prego, fammi un pompino”. Solo quello. Non mi chiese il nome, non mi chiese niente. Voleva la mia bocca sul suo cazzo.»

Michele aprì gli occhi, neri di gelosia. «E tu?»

«Io mi sono sentita strana. Umiliata e potente allo stesso tempo. Era come se fossi lì solo per quello, come una puttana. Eppure sentivo il cuore battermi forte. Mi accarezzai le labbra, guardandolo dritto negli occhi, e gli dissi: “Togliti i pantaloni”.»

La mano di Stefania aumentò appena il ritmo sul cazzo di Michele, scorrendo più veloce, umida della sua eccitazione. «E lui lo fece subito. Abbassò i jogger, niente mutande fighe, solo slip grigi dozzinali. Il cazzo gli schizzò fuori duro, giovane, pulsante. Mi ricordo che mi colpì la sua goffaggine: tirò giù i vestiti con troppa fretta, e il cazzo si alzò così, pronto, come se non aspettasse altro.»

Michele trattenne un respiro, il corpo teso. «Cristo, Stefania…»

Lei gli sfiorò la cappella con il pollice, raccogliendo la goccia di pre-sborra e mostrandogliela. «Vuoi che ti dica cosa ho fatto a quel cazzo giovane, Michele? Vuoi che ti racconti come gliel’ho preso in bocca?»


«Quando gli ho abbassato gli slip,» disse Stefania stringendo il cazzo di Michele tra le dita, «mi sono trovata davanti un cazzo giovane, dritto e gonfio. Non era enorme, ma la cappella era tesa e lucida, con quella vena che pulsava sotto la pelle liscia. Aveva quell’odore di sesso fresco, caldo, che mi faceva venire voglia di sentirlo subito in gola.»

Michele si mosse sul divano, già col respiro corto. «Era grosso?» chiese a denti stretti, la voce sporca di gelosia.

«Abbastanza,» sussurrò Stefania, con un sorriso malizioso. «Più duro di quanto ti immagini. E non riuscivo a staccare gli occhi dal modo in cui mi guardava, come se stessi per regalargli la sua prima volta vera.»

Lei gli accarezzava la cappella, facendogli uscire un filo di pre-sborra. «L’ho preso in mano, l’ho sentito scottare nelle dita. Lui gemeva già. Allora mi sono chinata e ho fatto scivolare la lingua sulla punta, lenta, assaggiandolo. Sapeva di pelle e di eccitazione, quel sapore salato che mi fa impazzire.»

Michele ansimò. «Gli hai leccato anche le palle?»

Stefania rise. «Sì, amore. Gliele ho leccate tutte, una per una, mentre gli segavo il cazzo con la mano. Lui spingeva il bacino in avanti, non sapeva più dove mettersi. Poi mi ha preso la testa con le mani e me l’ha spinta giù.»

«Cristo…» gemette Michele.

«Mi sono lasciata fare. Ho aperto la bocca e l’ho preso dentro, lentamente, fino a metà. Sentivo il cazzo che mi allargava la gola, il glande che sfregava sul palato. Lui gemeva, mi diceva quanto ero brava, che non aveva mai provato niente del genere. Io succhiavo e intanto lo guardavo negli occhi, volevo vederlo impazzire.»

La mano di Stefania accelerò sul cazzo di Michele, scivolando bagnata. «Alternavo: su e giù veloci, poi solo la cappella tra le labbra, la lingua che girava intorno. Ogni volta che lo mollavo un attimo, lui mi implorava: “Non fermarti, continua, ti prego”.»

Michele chiuse gli occhi, morso dalla gelosia. «Ti toccava mentre lo succhiavi?»

«Sì,» sussurrò Stefania con un brivido. «Mi accarezzava i capelli, mi teneva la testa ferma. Con una mano cercava anche la mia figa sotto la gonna, ma io non gliel’ho lasciato fare. Volevo che fosse solo la mia bocca a farlo godere.»

Michele spalancò gli occhi, sconvolto. «E l’hai fatto venire così?»

«Sì.» Stefania gli strinse il cazzo più forte, guardandolo negli occhi. «Dopo qualche minuto non ce l’ha più fatta. Ho sentito il cazzo gonfiarsi di colpo, e poi la sborra calda mi ha riempito la bocca. Fiotti spessi, caldi. Ho deglutito in fretta, ma era troppo: una parte mi è scivolata sulle labbra, un’altra è colata fuori, giù sul mento e sulla sabbia.»

Il respiro di Michele si fece spezzato, la mascella tesa. Stefania sorrise, sporca. «Sì, Michele. Me lo sono bevuto tutto. Ogni goccia. E lui mi guardava come se fossi una troia di cui non poteva più fare a meno.»


«Quando ha finito,» continuò Stefania, la voce più bassa, «è rimasto lì con gli occhi chiusi, il respiro a pezzi. Io mi sono passata la lingua sulle labbra, ho inghiottito l’ultima goccia che mi era rimasta in bocca e mi sono pulita il mento con il dorso della mano. C’era silenzio, solo il ronzio dei neon e il rumore della pioggia sul parabrezza. Era tutto così squallido… e proprio per questo mi faceva battere il cuore ancora più forte.»

Michele deglutì, gli occhi fissi su di lei. «E lui? Ti ha baciata?»

Stefania scosse la testa, stringendogli il cazzo più forte. «No, Michele. Niente baci, niente carezze. Si è tirato su i jogger in fretta, come se avesse paura che qualcuno arrivasse. Ha detto solo “grazie” e ha girato la chiave nel quadro. Non mi ha nemmeno guardata davvero.»

Michele sgranò gli occhi, incredulo. «Quindi per lui eri solo una bocca da usare?»

«Esatto,» sussurrò Stefania. «E io l’ho lasciato fare. Non ho preteso altro. Non mi ha chiesto chi fossi, non mi ha chiesto nulla di me. Era come se io non esistessi, se non per quel pompino. Mi sono sentita usata… e cazzo, mi è piaciuto.»

Michele si contorse sul divano, geloso e duro insieme. «Ti piaceva essere trattata così?»

«Sì.» Stefania si chinò a baciarlo all’orecchio, mentre la sua mano accelerava sul suo cazzo gonfio. «Mi piaceva sapere che un ragazzino che non mi conosceva si era fatto venire addosso solo grazie a me. Mi piaceva sentire la sua sborra calda che mi riempiva la bocca, senza nemmeno un bacio dopo. Era sporco, umiliante… ed era eccitante.»

Il respiro di Michele si fece frenetico, gli occhi lucidi. «E adesso stai facendo lo stesso con me,» mormorò.

«Sì,» sibilò Stefania, aumentando il ritmo fino a farlo gemere. «Sei come lui adesso. Stai godendo mentre mi senti raccontare di come succhiavo il cazzo di un altro. Vuoi venire come lui, Michele? Vuoi che ti faccia venire nella mia mano mentre ti parlo di quella notte?»

Michele non rispose: il corpo gli tremava, la mascella serrata, lo sguardo perso tra rabbia ed eccitazione.

Image by evening_tao on Freepik

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