Il rumore secco della macchinetta riempiva il silenzio dell’ufficio. Michele e Stefania erano soli nella piccola saletta, le tazzine pronte sul ripiano di plastica. L’odore del caffè appena erogato si mescolava a quello tiepido dei distributori automatici.
Stefania lo osservava con gli occhi socchiusi, un sorriso che Michele riconosceva bene: quello che annunciava guai. Si avvicinò un po’, abbassando la voce, complice:
«Vuoi che ti racconti una delle cose più sporche che abbia fatto?»
Michele la fissò, già sospettoso. «E cosa sarebbe?»
Lei si chinò verso di lui, le labbra quasi a sfiorargli l’orecchio. «Non era nemmeno uno di Tinder. Non so il suo nome. Un perfetto sconosciuto, in un hotel con il bagno in comune. Forse non l’ho mai saputo davvero.»
Michele rimase immobile, la tazzina sospesa a mezz’aria. Stefania gli sussurrò quasi all’orecchio: «Vuoi che ti dica come mi sono fatta scopare con due dita e poi me lo sono fatta venire in bocca, senza sapere chi fosse?»
Poi si ritrasse, prese la sua tazzina, e bevve un sorso di caffè come se niente fosse.
«Era l’inizio del 2024,» mormorò Stefania, inclinando la testa verso Michele, come confidando un segreto proibito. «Viaggio di lavoro, una fiera fuori città. Hotel economico, bagno in comune, moquette vecchia che puzzava di polvere.»
Fece una pausa, un altro sorso di caffè. «Doccia serale, vestito leggero e giacca. Nel corridoio, mentre torno, incrocio lui. Avrà avuto vent’anni, forse ventidue. Magro, palestra, ancora bagnato. Uno sguardo soltanto, forse un ‘hi’. Entro in camera e, senza pensarci troppo, lascio la porta accostata. Dopo qualche secondo sento bussare. Lui era lì, accappatoio appena chiuso. E io l’ho fatto entrare.»
«La camera minuscola,» continuò Stefania, «letto singolo, moquette umida. Nessuna parola, solo respiri. Gli ho aperto l’accappatoio – era già pronto, nudo, duro solo per come mi guardava. L’ho preso in mano, sentivo il calore, pulsava tra le dita. Senza dire niente l’ho spinto a sedersi, io in piedi tra le sue gambe. Decidevo io. Io cominciavo.»
«Mi sono inginocchiata davanti a lui,» la voce ormai un soffio. «Accappatoio a terra, io tra le sue cosce aperte, la testa che girava per l’adrenalina. Non c’erano parole, solo il mio respiro e lui che mi pulsava in mano.»
Si inumidì le labbra. «L’ho preso in bocca, con fame. L’asta calda contro la lingua, la cappella gonfia. Succhiavo forte, stringevo con la mano. Lui gemeva appena. Le mani sono finite sotto il mio vestito, ha scostato lo slip. Era goffo, lento, ma io ero già bagnata. Gli ho guidato la mano, gli ho insegnato come muoversi. Quando ha trovato il ritmo giusto, mi sono lasciata andare.»
Abbassò gli occhi. «Sì, Michele. Mi ha fatta venire, così: due dita dentro, io che lo succhiavo. Ho tremato tutta, gemevo contro il suo cazzo, e non sapevo nemmeno il suo nome.»
«Poi non mi sono fermata. Ho continuato, più affamata. Saliva che glisciava sull’asta. Lo prendevo a fondo, lo stringevo. Tremava, non durava. Dal respiro, dalle cosce che mi stringevano sapevo che sarebbe venuto. L’ho stretto ancora. E lui è esploso. È venuto in bocca con violenza, caldo, amaro. Ho deglutito tutto, guardandolo negli occhi. Ogni goccia.»
Michele abbassò lo sguardo sulla sua tazzina, dita strette sul manico. Stefania sorrise, piano. «Quando ho finito, mi sono passata la lingua sulle labbra, lui si è rivestito in fretta. Nessun bacio. Ha preso l’accappatoio, aperto la porta, andato via. Io sono rimasta sul letto, la bocca ancora calda del suo sapore. Non so chi fosse. Non l’ho più rivisto.»
Stefania bevve un sorso di caffè, lo sguardo fisso su Michele. «Ecco, amore. Un ragazzo in accappatoio, incontrato per caso. Mi ha fatta godere con due dita e mi è venuto in bocca. Mai saputo come si chiamava.»
Il silenzio della macchinetta era quasi irreale. Michele teneva la tazzina troppo stretta; deglutì senza dire nulla.
Stefania sorrise, complice. «Sai cosa mi piace di più di tutto? L’anonimato. Non era nessuno. Solo un corpo, un’occasione. Io volevo, lui voleva. E mi bastava.»
Si appoggiò al bancone. «E ora tu sei qui, a bere caffè con me, mentre ti immagini la tua donna che inghiotte lo sperma di uno sconosciuto. Dai, amore. Finisci il caffè. Non voglio che si raffreddi.»




