La televisione era accesa su un film qualunque, uno di quelli che si guardano più per compagnia che per interesse. Michele e Stefania erano sdraiati sul letto, lui in boxer, lei in una t-shirt morbida e uno slip chiaro. Il lenzuolo li copriva solo fino alla vita, la luce dello schermo disegnava ombre bluastre sulle loro pelli.
A un certo punto sullo schermo passò una scena fugace: una coppia che si baciava su una panchina, in un parco quasi deserto. Stefania sorrise appena, gli occhi che si illuminarono di un ricordo. Si voltò verso Michele, che se ne accorse subito.
«Che c’è?» chiese lui, curioso.
«Niente…» fece lei, lasciando che un sorriso le restasse sulle labbra. «Solo che quella scena mi ha fatto venire in mente una cosa che non ti ho mai raccontato.»
Michele inarcò le sopracciglia, già in allerta. «Un’altra delle tue avventure?»
«Mh,» annuì Stefania, maliziosa, avvicinandosi di più al suo orecchio. «Era il 2001, avevo ventun anni. C’era un ragazzo all’università, Marco… timidissimo, insicuro. Ma con una fantasia che non mi sarei mai aspettata.»
Gli occhi di Michele brillarono, metà eccitati metà gelosi. «Che fantasia?»
Stefania gli prese la mano e la guidò sotto la maglietta, tra le cosce calde. «Ti va se te lo racconto mentre mi tocchi?»
«Era un pomeriggio di primavera,» iniziò Stefania, la voce bassa mentre guidava la mano di Michele sotto la maglietta. «Avevamo finito le lezioni, io e Marco. Lui era un compagno di studi, sempre un po’ goffo, uno di quelli che non ti aspetti che abbiano il coraggio di provarci davvero. Invece quella volta mi chiese di fermarci a chiacchierare in un parco vicino alla facoltà.»
Si sistemò meglio sul cuscino, con lo sguardo lontano. «Io indossavo dei jeans attillati e una maglietta bianca semplice. Lui aveva una camicia azzurra, leggera, con sopra una giacca scura. Non sembravamo neanche due che stessero andando a fare qualcosa di proibito. Sembravamo due studenti qualsiasi che si prendevano una pausa.»
Michele la guardava senza battere ciglio, la mano che si muoveva lentamente tra le sue cosce.
«Ci siamo seduti su una panchina appartata. Non c’era nessuno nei dintorni, ma io sentivo comunque il cuore battermi in gola. Lui parlava poco, era nervoso. Poi, a un certo punto, mi ha detto sottovoce che lo eccitava l’idea di fare qualcosa all’aperto, con la possibilità che qualcuno ci vedesse.»
Stefania sorrise, amara e maliziosa allo stesso tempo. «Io l’ho preso per uno scherzo, all’inizio. Ma quando mi sono accorta che sotto i pantaloni era già duro, ho capito che parlava sul serio.»
«Stavamo stretti sulla panchina,» continuò Stefania, «la mia coscia che sfiorava la sua. Il parco era quasi vuoto: un rumore di traffico lontano, due corvi sugli alberi, l’odore umido dell’erba. Io parlavo per riempire il silenzio, ma Marco guardava solo in basso.»
A un certo punto lui le prese la mano. Non con decisione, con cautela. L’appoggiò sul rigonfio dei suoi pantaloni. Stefania trattenne il respiro e si guardò intorno istintivamente: nessuno nel raggio di molti metri, solo il vialetto deserto e la luce pallida del tardo pomeriggio.
«Sotto il palmo ho sentito la forma, non ancora il calore: la linea netta contro il tessuto, la tensione che spingeva verso la cerniera. Lui tremava un po’. Aveva gli occhi bassi, le guance rosse. “Se non ti va…” ha mormorato. Ho fatto no con la testa. E non ho tolto la mano.»
Stefania sospirò, il ricordo ancora vivo. «Ho iniziato a premere leggermente, a seguirne il profilo attraverso il cotone. L’erezione reagiva, si assestava sotto la stoffa. Era dura, giovane. Io ero imbarazzata—sentivo il cuore battere forte nel collo—ma la curiosità mi spingeva più avanti.»
«”Qui?” gli ho sussurrato. “Adesso?”»
«Lui ha deglutito. “Sì. Solo… resta vicino a me.”»
«Ho slacciato la cintura. Il click del bottone mi è sembrato enorme nel silenzio. Ho tirato giù la zip a piccoli scatti, ascoltando se arrivava qualcuno sul vialetto. Niente. Marco ha sollevato appena il bacino, come per aiutarmi. Ho scostato il bordo dei boxer con due dita e lì ho sentito finalmente il calore vero, la pelle liscia, la pulsazione che non passa attraverso nessun tessuto.»
Michele tratteneva il respiro, gli occhi fissi su di lei.
«Gli ho preso il cazzo in mano. Caldo, vivo, teso. L’ho tenuto fermo un momento, solo per abituarmi all’idea di essere all’aperto, con lui esposto nella mia mano e il mondo a pochi passi. Marco ha lasciato uscire un sospiro lungo, quasi un gemito, e io ho capito che non sarei più tornata indietro.»
«”Va bene,” gli ho sussurrato senza guardarlo negli occhi. “Ma mi segui tu. Se vedo qualcuno, mi fermo.”»
«Ho stretto le dita un po’ di più, provando la pressione giusta, studiando il modo in cui il glande si muoveva sotto il tocco. E lì, su quella panchina, con il parco che tratteneva il fiato insieme a noi, ho cominciato davvero.»
«Ho stretto le dita, scivolando lungo l’asta, lenta. Marco tratteneva il respiro come se non volesse disturbare il silenzio del parco. La cappella gli spuntava fuori dai boxer, gonfia, arrossata, un po’ lucida. Io mi guardavo intorno ogni due secondi, pronta a sfilare la mano e rimettermi a posto i capelli come se niente fosse. Ma non passava nessuno. Solo il fruscio delle foglie, il cinguettio di un uccello tardivo.»
«”Così?” gli ho chiesto sottovoce, senza staccare gli occhi dalla mia mano che gli avvolgeva il cazzo.»
«”Sì… continua…” ha sussurrato lui, e mi sono accorta che tremava davvero.»
«L’ho segato con movimenti regolari, prima lenti, poi più decisi. Il glande gli scivolava tra le dita, sentivo il cambio di consistenza, la pelle più sottile e tesa sulla punta. Con il pollice ho cominciato a sfiorargli appena il frenulo, e lui ha emesso un gemito strozzato che mi ha fatto sorridere.»
«L’adrenalina cresceva: non era la mia mano a farmi eccitare, era il rischio. Ero lì, su una panchina pubblica, con il cazzo di un compagno di corso in mano. Poteva passare chiunque, poteva vedermi chiunque. Eppure non smettevo.»
Stefania rise sommessamente. «Marco si mordeva il labbro, ansimava. “Non ti fermare… magari… magari ci vedono…” Ha detto proprio così, e io ho sentito un brivido corrermi lungo la schiena. Una parte di me si vergognava da morire, un’altra parte si accendeva ancora di più.»
«Ho aumentato il ritmo. Il suo cazzo sobbalzava nella mia mano, sempre più duro. Lui si piegava un po’ in avanti, con la fronte quasi sulle mie spalle, come per nascondersi e insieme offrirsi di più. Io lo stringevo, lo accarezzavo, e intanto tenevo l’orecchio teso a ogni rumore lontano.»
«Mi sentivo calda, arrossata, quasi bagnata solo all’idea che qualcuno potesse scoprirmi così. Era un gioco che non avevo mai fatto prima, ma che mi stava entrando sottopelle.»
«E quando ho capito che stava per venire, ho stretto più forte, senza pietà.»
«Marco aveva gli occhi chiusi, la testa piegata in avanti, il respiro spezzato che gli faceva tremare il petto. Io lo segavo con decisione, sentendo sotto la mano la consistenza del suo cazzo: la pelle che scivolava, il glande che ogni volta spingeva contro le mie dita con una tensione sempre più forte.»
«Ero rossa, sentivo il calore sulle guance, il cuore che batteva all’impazzata. Non tanto per lui, quanto per la situazione. Ero lì, ventun anni, seduta su una panchina con il cazzo di un compagno di corso che mi riempiva la mano. All’aperto. Bastava che qualcuno imboccasse il vialetto e mi avrebbe vista così.»
«Marco ansimava, gemeva a tratti. Ogni volta che guardava intorno, come se davvero sperasse di vedere qualcuno, mi veniva un brivido. Non era la mia fantasia, ma il suo desiderio di essere esibito mi trascinava dentro la sua eccitazione. Ed era contagioso.»
«All’improvviso ho sentito il suo cazzo irrigidirsi del tutto, un colpo secco sotto il palmo. Un sussulto gli ha percorso tutto il corpo, e lui ha lasciato uscire un gemito lungo, quasi un lamento. Ho continuato a stringere, ad accarezzarlo con ritmo costante, finché non l’ho sentito vibrare nelle dita.»
Stefania chiuse gli occhi, rivivendo la scena. «Lo sperma è uscito a scatti, caldo, appiccicoso. Me ne è finito un po’ sulle dita, un po’ è colato sulla mia mano, e una goccia si è posata sulla stoffa dei miei jeans scuri. Non era una cascata, non era una scena da film porno. Era reale, imperfetto, e proprio per questo mi ha fatto girare lo stomaco dall’eccitazione.»
«Ho guardato la mia mano sporca, lucida, e ho riso nervosa. “Sei pazzo,” gli ho detto sottovoce, “ci avrebbero potuto vedere.” Ma intanto sentivo la figa pulsarmi sotto i jeans, come se fossi stata io a venire.»
«Marco ansimava, con le spalle curve e il viso nascosto tra le mani. “Non mi importa… è stato incredibile.”»
«E io, seduta accanto a lui con le dita ancora sporche, sapevo che non avrei mai dimenticato quella sensazione: la paura di essere scoperta, e il piacere di avere fatto godere un uomo così, nel cuore di un parco vuoto.»
«Ecco com’è andata,» concluse Stefania, con la voce bassa, quasi un sospiro. «Io con la mano sporca, lui piegato accanto a me, e il parco intorno che sembrava trattenere il fiato. Non ci siamo nemmeno baciati dopo. Era come se bastasse quello: il rischio, la paura, la sua sborra sulla mia pelle. È stato tutto lì.»
Michele la fissava con gli occhi scuri, il respiro irregolare. La mano che aveva guidato sotto la sua maglietta era ancora tra le sue cosce, e Stefania la strinse più forte contro di sé.
«Lo immagini, vero?» sussurrò. «Io ventunenne, con i jeans attillati, che faccio venire un ragazzo su una panchina. E tu che non c’eri.»
Michele emise un gemito basso, quasi un ringhio. «Basta… non continuare.»
«No,» ribatté lei, il sorriso crudele sulle labbra. «Devi continuare a pensarci. Io lo guardavo tremare, lo stringevo finché è venuto, e tu adesso sei qui, a soffrire solo per le mie parole.»
Gli afferrò il polso, lo spinse via dalla sua figa bagnata. «Non ti faccio venire stasera, Michele. Ti lascio duro, come sei adesso. Perché così capisci meglio come mi sentivo io quel pomeriggio: eccitata, nervosa, con il cuore che batteva forte… e insoddisfatta.»
Si voltò sul fianco, gli diede un bacio rapido sulla guancia e si rannicchiò sotto il lenzuolo, come se avesse chiuso il racconto con un punto fermo.
Michele rimase immobile, il respiro corto, la mente piena solo dell’immagine di Stefania giovane su quella panchina, con la mano che scivolava sul cazzo di un altro.




