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Odiarlo, goderlo

Erano sdraiati a letto, la luce soffusa della lampada che disegnava ombre morbide sulla stanza. Stefania aveva indosso una semplice maglietta larga, senza reggiseno, e uno slip comodo da notte. Michele le stava accanto, mezzo appoggiato al cuscino, con il corpo ancora caldo per l’eccitazione dell’ultimo gioco che avevano fatto.

Ruppe lui il silenzio, con la voce roca: «Hai voglia di raccontarmi un’altra delle tue storie?»
Stefania lo guardò di lato, con un mezzo sorriso. «Sei sicuro? Quella che mi viene in mente non è leggera.»
«Appunto.» Michele si avvicinò, le sfiorò la coscia sotto la coperta. «Voglio quella che ti pesa di più dire. Quella che ti fa più male confessarmi.»

Lei sospirò piano, si girò su un fianco verso di lui. «Vuoi che ti parli di uno che non mi piaceva affatto? Uno che come uomo era insopportabile, ma il cui cazzo… mi faceva impazzire?»

Michele inarcò le sopracciglia, un lampo di gelosia negli occhi. «Come sarebbe? Non ti piaceva eppure ci sei stata?»
«Sì,» disse Stefania, con un filo di voce. «Non lo sopportavo quando apriva bocca. Arrogante, pieno di sé, uno di quelli che si specchiano da soli. Ma la prima volta che ho visto il suo cazzo… ho capito che avrei voluto solo quello.»

Michele serrò la mascella. «Chi era?»
«Roberto. Trentatré anni. Lavorava nella consulenza, parlava solo di soldi e di se stesso. Io lo odiavo già a metà della cena. Ma quando siamo usciti… lui ha fatto una cosa che non mi aspettavo. E da lì non sono più riuscita a fermarmi.»

Michele deglutì, sentendo il cuore accelerare. «Dimmi tutto, Stefania. Non saltare niente.»

«Era estate,» iniziò Stefania, con un sorriso amaro, mentre le sue dita tracciavano linee distratte sul petto di Michele. «Avevo accettato quell’incontro più per curiosità che per altro. Roberto aveva insistito tanto, e io pensai: “Vada, una cena non mi ucciderà”. Così misi un tubino scuro, tacchi alti, un filo di trucco. Lui arrivò in camicia bianca stirata di fresco, pantaloni eleganti, il classico uomo che vuole sembrare importante.»

Michele annuì, stringendo i denti. «Eri bella.»
«Sì, e lui lo notò subito,» continuò Stefania. «Peccato che dopo il primo bicchiere di vino parlasse solo di sé. Il lavoro, i soldi, le macchine, le donne che secondo lui lo volevano tutte. Io lo ascoltavo e dentro pensavo: “Che noia mortale, non lo rivedrò mai più”. Ma il gioco cambiò quando salimmo in macchina.»

Michele spalancò gli occhi. «Che è successo?»
«Guidava lui. Appena chiusa la portiera, si è spinto verso di me e mi ha baciata. Non un bacio dolce, Michele: la lingua ficcata in bocca, la mano già sul mio seno. Io stavo per scansarlo, ma in quel momento si è slacciato la cintura, ha abbassato la zip e se l’è tirato fuori.»

La voce di Stefania si abbassò, roca. «Il cazzo, Michele. Grosso, spesso, con la cappella larga e gonfia. Non mi aspettavo niente, e invece mi sono trovata davanti quell’asta che pulsava sotto la luce arancione del lampione. Mi ha gelato lo stomaco e mi ha bagnata nello stesso istante.»

Michele si contorse sotto le coperte. «E tu…?»
«L’ho preso in mano senza pensarci. Caldo, pesante. Lo stringevo e già gemeva. Ero arrabbiata con lui, lo trovavo odioso, ma non riuscivo a staccare gli occhi dal suo cazzo. E allora ho ceduto. Mi sono chinata e gliel’ho preso in bocca.»

Gli occhi di Michele si fecero lucidi. «Gli hai fatto un pompino lì, in macchina?»
«Sì.» Stefania sorrise, lenta, sporca. «Gli succhiavo la cappella, gli leccavo l’asta fino alle palle. Volevo sentirmelo gonfiarsi in gola. Lui gemeva, si contorceva, mi teneva la testa ferma. E io lo godevo, Michele. Non lui, non la sua voce fastidiosa: il suo cazzo. Solo quello.»

«Appena entrati in camera da letto,» riprese Stefania, «mi sono spogliata in fretta. Ho lasciato scivolare il tubino a terra, ero in mutandine e reggiseno. Lui non perdeva tempo: si è tolto la camicia, i pantaloni, ed eccolo di nuovo, quel cazzo che mi aveva colpita in macchina. Grosso, con la cappella larga e gonfia, teso al punto giusto. Non guardavo nemmeno il suo viso, Michele. Non mi interessava. Vedevo solo quell’asta che mi faceva colare tra le gambe.»

Michele trattenne il fiato. Stefania serrò la presa sul suo cazzo e continuò: «Mi sono inginocchiata davanti a lui e l’ho preso subito in bocca. Non cercavo i suoi occhi, non volevo vedere il suo sorriso arrogante. Succhiavo e basta, tutta la mia attenzione lì, sul cazzo. La lingua che gli scivolava lungo l’asta, le labbra che stringevano la cappella, la saliva che mi colava dal mento. Le palle me le sono prese in mano, le ho massaggiate piano, volevo sentirlo pulsare ancora di più.»

Il respiro di Michele si fece corto. «E lui?»
«Gemeva, si contorceva, mi teneva la testa. Io lo lasciavo fare, e intanto pensavo solo a quanto lo volevo dentro. Quando l’ho visto gonfiarsi ancora, mi sono sdraiata sul letto e ci sono salita sopra. Reverse cowgirl. Non volevo guardarlo, volevo solo affondare su quel cazzo.»

Stefania abbassò la voce, roca. «Quando la cappella è entrata, ho cacciato un gemito. Sentivo la figa aprirsi piano, l’asta che mi riempiva tutta. Spingevo i fianchi verso il basso e gemevo più forte, Michele. Era così buono dentro, spesso al punto giusto. Ho cavalcato quel cazzo con tutta la foga che avevo, e quando sono venuta mi sono piegata all’indietro, gridando, con i muscoli che gli stringevano attorno.»

Michele serrò le labbra, lo stomaco in fiamme. «E poi?»
«Poi mi ha girata. Mi ha presa da dietro, a pecorina. Le sue mani sui miei fianchi, il cazzo che entrava profondo, ogni colpo mi faceva tremare le gambe. Gemevo forte, affondavo la faccia nel cuscino. Non pensavo a lui, pensavo solo a quanto quel cazzo mi stava facendo godere. Mi ha fatto venire di nuovo, più forte di prima.»

Stefania sorrise, maliziosa. «Quando ha sborrato dentro, mi sono scostata subito. Non volevo nemmeno che mi toccasse. Ma dopo pochi minuti era già duro di nuovo. E lì sì che mi ha sorpresa. L’ho preso in mano, l’ho succhiato ancora, volevo sentire di nuovo quel sapore, e mentre lo pompavo con la bocca gli ho infilato un dito nel culo. Lui si è irrigidito, ha gemuto come non aveva mai fatto. E io godevo, Michele, perché lo stavo umiliando mentre mi dava ancora piacere.»

La sua mano accelerò sul cazzo di Michele, stringendo forte. «Poi mi ha scopata ancora a pecorina. Forte, animalesco. Io venivo piegata sul letto, lui veniva una seconda volta dentro di me. E io ridevo dentro, perché quell’uomo arrogante mi disgustava, ma il suo cazzo… il suo cazzo lo volevo sempre.»

«Sai cos’è la cosa peggiore, Michele?» sussurrò Stefania, la voce lenta mentre stringeva il suo cazzo tra le dita. «Non è stata solo quella notte. L’ho rivisto altre volte. Non perché mi piacesse lui, non perché avessi voglia di sentirlo parlare. No. Lo cercavo solo per il cazzo. Quel cazzo spesso, gonfio, che mi faceva godere come una troia. Era come una droga.»

Michele serrò la mascella, il corpo rigido. «Quindi ci sei tornata…»
«Sì,» annuì Stefania, gli occhi fissi nei suoi. «Lo odiavo come uomo, ma appena me lo tirava fuori io lo volevo in bocca e dentro. Mi faceva venire, mi riempiva, e poi lo scacciavo via come un oggetto che avevo usato. Era solo questo, Michele: non lui, solo il suo cazzo.»

Michele scosse la testa, un gemito spezzato gli sfuggì dalle labbra. «E sei venuta più volte con lui?»
«Sì. Mi faceva venire di continuo. Una volta mi ha scopata tre volte in una sera. Io ridevo dentro, perché non riuscivo a credere che uno così mi facesse godere così tanto. Ma era solo per il cazzo. Sempre e solo per quello.»

La mano di Stefania accelerò sul cazzo di Michele, decisa, fino a farlo tremare. «Capisci, amore? Non ho avuto centinaia di uomini. Con alcuni, come Roberto, ci sono stata più volte. Ma quello che mi resta impresso, quello che ti racconto adesso, sono sempre le prime volte. Quelle che non si dimenticano. Quelle che bruciano ancora adesso.»

Michele gemette forte, il respiro spezzato. La gelosia gli divorava lo stomaco, ma il cazzo pulsava duro, pronto a esplodere.
Stefania gli sussurrò all’orecchio, sporca: «Vieni pensando a me che succhio quel cazzo che odiavo e che amavo allo stesso tempo. Vieni, Michele. Riempimi la mano come lui riempiva me.»

Image by Sammy-Sander from Pixabay

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